auguri tex! 60 anni e non dimostrarli.....
auguri tex! 60 anni e non dimostrarli.....
Il celebre ranger di casa Bonelli compie 60 anni: per me è una persona di famiglia, considerando che è stato il primo fumetto che papà mi mise tra le mani, raccontandomi ciò che accadeva tra un disegno e l'altro quando ancora non ero in grado di leggere, e spiegandomi le differenze tra i Comanches, gli Apaches eccetera. E' e resta uno dei miei più bei ricordi legati a mio padre ed alla mia infanzia, ed in tanti anni pur restando uguale a sè stesso, Tex ha saputo migliorarsi: onore al merito ad un prodotto italiano che meriterebbe il marchio D.O.C. !
Riporto l'intervista rilasciata Tgcom da Sergio Bonelli:
Quella di “Tex, un eroe per amico” è una citazione, che si riferisce all’omonimo titolo di un preziosissimo volume uscito dieci anni fa che festeggiava il cinquantennale del ranger. Mezzo secolo sembrava davvero un’eternità, un incredibile traguardo per un personaggio nato senza grosse pretese e che invece è diventato uno dei punti di riferimento del fumetto italiano. Un amico, insomma, per diverse generazioni.
E ora gli anni sono diventati sessanta, considerato che il 30 settembre del 1948 faceva la sua comparsa “Il totem misterioso”, prima striscia della lunga saga. E con chi se non con Sergio Bonelli, figlio di Gian Luigi, il creatore di Tex Willer, oggi editore delle sue avventure, si possono scambiare quattro chiacchiere per festeggiare l’evento?
Sergio Bonelli
Peste, sono già sessanta! Niente male per un personaggio su cui all’inizio suo padre non aveva scommesso…
Proprio così. In quel periodo mio padre e Galep (al secolo Aurelio Galleppini, il disegnatore per eccellenza di Tex, ndr) lavoravano su Occhio Cupo. Galep aveva una mano straordinaria e si ispirava ai grandi disegnatori americani, Alex Raymond in primis. Occhio Cupo era un albo destinato a un élite che capisse un disegno raffinato, curato. Galep lo disegnava con tutti i crismi di giorno e poi, alla sera, a tempo perso, faceva queste striscette su un cowboy che era destinato a diventare uno dei tanti che erano nelle edicole di quel periodo. Con nostra grande sorpresa Occhio Cupo non ha avuto successo, mentre questa strisciolina disegnata in gran fretta e che mio padre scriveva molto velocemente via via ha riscosso i consensi dei lettori, nonostante lo ritenessimo un prodotto di serie B.
Ma fu successo immediato?
No, Tex ha cominciato ad andare bene dieci anni dopo la sua nascita, i primi anni sono stati faticosi. In quel periodo il western andava forte, c'erano fumetti tipo "Il piccolo sceriffo", "Capitan Miki" e "Grande Blek" che erano scritti per i ragazzi. Bonelli padre scriveva per un pubblico un po' più adulto, e Tex tardava ad affermarsi. Una volta esploso, è stato in inarrestabile ascesa fino agli anni '80.
E oggi come va?
Inutile nasconderlo, abbiamo perso molti lettori rispetto a quindici-vent'anni fa, vendiamo un po' più di un terzo se facciamo il confronto col periodo d'oro. Tex però tra i fumetti della nostra casa editrice è quello che vende ancora di più, 220-230mila copie al mese. E’ seguito da Dylan Dog, già il terzo che è Nathan Never vende solo 60mila copie. Con alcune testate faccio fatica ad arrivare alle 40mila copie.
E’ possibile fare l’identikit del lettore medio di Tex?
E' una persona matura, non un ragazzino, e condivide con noi quei valori in cui credeva tanti anni fa e che magari un po’ ingenuamente segue anche oggi. Tex è la rappresentazione di chi sta con i deboli, con la giustizia, rappresenta il trionfo dell'amicizia, della lealtà, persino della famiglia. E sono lettori molto affezionati al personaggio, basta vedere come seguono anche le ristampe…
Cioè?
Quelle della serie regolare vanno ancora bene, vendono 30-40mila copie al mese, ed è una cosa impensabile perché praticamente noi ristampiamo il personaggio da sempre. Ma ci hanno sorpreso, fino a un certo punto, quelle fuori serie realizzare col gruppo l’Espresso. Vuoi la novità del colore, o la carta bella, o l'edizione che è più elegante, fatto sta che anche il lettore "storico" di Tex le ha acquistate, forse perché la sua collezione sta un po' invecchiando…
Ma torniamo al 1948, al sodalizio tra suo padre e Galep…
Quell’anno Galleppini lavorava e abitava già a casa nostra, a Milano, perché in quel periodo trovare alloggio in città era cosa difficilissima. Erano due persone diverse, mio padre era estroverso, super orgoglioso del proprio lavoro e ovunque andassimo veniva sempre fuori che lui era quello che scriveva Tex. Il fumetto è stata la motivazione della sua vita. Galleppini era tutto il contrario, stava molto per conto suo. Era un uomo tutto casa e famiglia, non dava troppa confidenza. Loro due si vedevano abbastanza spesso, anche se Galleppini si stabilì in Liguria. Andavano d'accordo, forse anche perché abitavano distanti. D'estate andavano a fare le vacanze assieme sulle Dolomiti.
Due personalità molto diverse, quindi…
Sì, e nel lavoro in fondo nessuno dei due ha cercato di sovrastare l'altro. Spesso è il disegnatore che si pone in quest'ottica dominante, ma Galleppini non ha mai cercato di mettere nel fumetto la sua grande abilità in modo da distrarre dal racconto, anzi, molto umilmente, da grande professionista, si metteva al servizio del racconto, e forse anche questo è piaciuto ai lettori. Il loro è stato un incontro giusto al momento giusto.
Suo padre raccontava l’America del west ma nessuno non ci era mai stato. A cosa si ispirava?
Lui andava tantissimo al cinema e leggeva molta letteratura popolare americana, sapeva a memoria Jack London e amava molto Zane Grey. Gli piaceva ritenersi come Salgari, che descriveva i posti senza esserci mai stato. Ma alla fine in America ce l’ho portato io…
Ci racconti…
Era il 1988. Io, lui, che aveva già 80 anni, e mio fratello, facemmo un percorso molto texiano, dall'Arizona al New Mexico. Lui faceva finta di niente, di non sorprendersi di nulla, ma noi capivamo che era molto felice di stare lì. E chiaramente non mancarono bistecche alte due, tre e quattro dita con patatine, che facevano parte regolarmente della sua dieta.
Per i sessant’anni è uscito un albo tutto a colori, come nella miglior tradizione delle ricorrenze in casa Bonelli, dove torna in un flashback Lilyth, la moglie indiana di Tex, forse fatta morire troppo presto. Come sarebbero state le avventure di un Tex sposato?
Quando andavamo al cinema a vedere i western, a mio padre piacevano le eroine dei film d'avventura, non gli davano fastidio. Ma il pubblico quando spuntava una donna che diceva al protagonista di non andare allo scontro fischiava, vedeva malvolentieri questa presenza femminile. Bonelli era un sostenitore del filone avventuroso e in fondo anche un po' violento. Finché gli ha fatto comodo che Tex avesse una moglie, l’ha tenuta. Appena ha capito che poteva dargli fastidio, l’ha eliminata.
Invece è “sopravissuto” il figlio, Kit Willer…
Allora andavano forte gli albi con protagonisti bambini, e lui, che aveva visto la difficoltà iniziale di Tex perché lo rivolgeva ai grandi, aveva aggiunto un personaggio giovane per conquistare un’altra fetta di lettori. Pensi che avevamo previsto una serie in cui si vedeva solo Kit Willer, ma poi abbiamo cambiato idea. E’ un personaggio che, mi rendo conto, ha pochi tratti caratteristici, ma mio padre lo ha tenuto vita perché gli ricordava una sua passione giovanile…
Ossia?
Con Tex, Kit Willer, Kit Carson e Tiger Jack lui ha ricreato i quattro moschettieri. Amava tantissimo Dumas, l'idea di avere quattro personaggi lo riportava allo scrittore francese.
In allegato al numero del sessantesimo anche un romanzo scritto da Gian Luigi Bonelli nel 1951, “Il massacro di Goldena”, una verà rarità che mostra un lato poco noto di suo padre…
Lui era un appassionato di letture popolari, ed era inevitabile che avesse la tentazione di diventare il nuovo Salgari. I suoi romanzi sono cose scritte negli anni '30, e mostrano tutti i segni del tempo. C'è stato un momento in cui si era appassionato degli americani che scrivevano polizieschi tosti, duri, tipo Mickey Spillane. Aveva preso una cotta per un certo tipo di letteratura sia gialla che western alla Louis L'Amour, gli era venuta voglia di scrivere queste cose, voglia che poi gli è passata alla svelta e non gli è più tornata. Mio padre era un entusiasta, e passando ai fumetti trovò un modo di raccontare talmente nuovo che risultò più vicino alle sue corde. Era affascinato dal cinema, quindi dal movimento, e tutto quello che era esprimibilein questa maniera gli dava più soddisfazione. Aveva capito insomma che per lui era meglio raccontare le storie con le figure più che con le sole parole. E “Il massacro di Goldena”, nato come romanzo, diventò anch’esso anni dopo un’avventura a fumetti disegnata da Ticci.
Domandina finale tanto scontata quanto necessaria: nell’attesa di altre ricorrenze, quali novità ci riserva il futuro di Tex?
Io sono un sostenitore della tradizione, ogni tanto cambiamo sceneggiatori o disegnatori e questo ogni tanto ci preoccupa perché il pubblico vorrebbe che noi non cambiassimo mai. Io ho il problema opposto rispetto ad altri editori: invece che inventare cose nuove per Tex devo salvaguardare gli schemi abituali che i lettori apprezzano. A noi piace l'idea che sia un portabandiera del modo di sceneggiare e di proporre delle storie che oggi non vanno più.
Riporto l'intervista rilasciata Tgcom da Sergio Bonelli:
Quella di “Tex, un eroe per amico” è una citazione, che si riferisce all’omonimo titolo di un preziosissimo volume uscito dieci anni fa che festeggiava il cinquantennale del ranger. Mezzo secolo sembrava davvero un’eternità, un incredibile traguardo per un personaggio nato senza grosse pretese e che invece è diventato uno dei punti di riferimento del fumetto italiano. Un amico, insomma, per diverse generazioni.
E ora gli anni sono diventati sessanta, considerato che il 30 settembre del 1948 faceva la sua comparsa “Il totem misterioso”, prima striscia della lunga saga. E con chi se non con Sergio Bonelli, figlio di Gian Luigi, il creatore di Tex Willer, oggi editore delle sue avventure, si possono scambiare quattro chiacchiere per festeggiare l’evento?
Sergio Bonelli
Peste, sono già sessanta! Niente male per un personaggio su cui all’inizio suo padre non aveva scommesso…
Proprio così. In quel periodo mio padre e Galep (al secolo Aurelio Galleppini, il disegnatore per eccellenza di Tex, ndr) lavoravano su Occhio Cupo. Galep aveva una mano straordinaria e si ispirava ai grandi disegnatori americani, Alex Raymond in primis. Occhio Cupo era un albo destinato a un élite che capisse un disegno raffinato, curato. Galep lo disegnava con tutti i crismi di giorno e poi, alla sera, a tempo perso, faceva queste striscette su un cowboy che era destinato a diventare uno dei tanti che erano nelle edicole di quel periodo. Con nostra grande sorpresa Occhio Cupo non ha avuto successo, mentre questa strisciolina disegnata in gran fretta e che mio padre scriveva molto velocemente via via ha riscosso i consensi dei lettori, nonostante lo ritenessimo un prodotto di serie B.
Ma fu successo immediato?
No, Tex ha cominciato ad andare bene dieci anni dopo la sua nascita, i primi anni sono stati faticosi. In quel periodo il western andava forte, c'erano fumetti tipo "Il piccolo sceriffo", "Capitan Miki" e "Grande Blek" che erano scritti per i ragazzi. Bonelli padre scriveva per un pubblico un po' più adulto, e Tex tardava ad affermarsi. Una volta esploso, è stato in inarrestabile ascesa fino agli anni '80.
E oggi come va?
Inutile nasconderlo, abbiamo perso molti lettori rispetto a quindici-vent'anni fa, vendiamo un po' più di un terzo se facciamo il confronto col periodo d'oro. Tex però tra i fumetti della nostra casa editrice è quello che vende ancora di più, 220-230mila copie al mese. E’ seguito da Dylan Dog, già il terzo che è Nathan Never vende solo 60mila copie. Con alcune testate faccio fatica ad arrivare alle 40mila copie.
E’ possibile fare l’identikit del lettore medio di Tex?
E' una persona matura, non un ragazzino, e condivide con noi quei valori in cui credeva tanti anni fa e che magari un po’ ingenuamente segue anche oggi. Tex è la rappresentazione di chi sta con i deboli, con la giustizia, rappresenta il trionfo dell'amicizia, della lealtà, persino della famiglia. E sono lettori molto affezionati al personaggio, basta vedere come seguono anche le ristampe…
Cioè?
Quelle della serie regolare vanno ancora bene, vendono 30-40mila copie al mese, ed è una cosa impensabile perché praticamente noi ristampiamo il personaggio da sempre. Ma ci hanno sorpreso, fino a un certo punto, quelle fuori serie realizzare col gruppo l’Espresso. Vuoi la novità del colore, o la carta bella, o l'edizione che è più elegante, fatto sta che anche il lettore "storico" di Tex le ha acquistate, forse perché la sua collezione sta un po' invecchiando…
Ma torniamo al 1948, al sodalizio tra suo padre e Galep…
Quell’anno Galleppini lavorava e abitava già a casa nostra, a Milano, perché in quel periodo trovare alloggio in città era cosa difficilissima. Erano due persone diverse, mio padre era estroverso, super orgoglioso del proprio lavoro e ovunque andassimo veniva sempre fuori che lui era quello che scriveva Tex. Il fumetto è stata la motivazione della sua vita. Galleppini era tutto il contrario, stava molto per conto suo. Era un uomo tutto casa e famiglia, non dava troppa confidenza. Loro due si vedevano abbastanza spesso, anche se Galleppini si stabilì in Liguria. Andavano d'accordo, forse anche perché abitavano distanti. D'estate andavano a fare le vacanze assieme sulle Dolomiti.
Due personalità molto diverse, quindi…
Sì, e nel lavoro in fondo nessuno dei due ha cercato di sovrastare l'altro. Spesso è il disegnatore che si pone in quest'ottica dominante, ma Galleppini non ha mai cercato di mettere nel fumetto la sua grande abilità in modo da distrarre dal racconto, anzi, molto umilmente, da grande professionista, si metteva al servizio del racconto, e forse anche questo è piaciuto ai lettori. Il loro è stato un incontro giusto al momento giusto.
Suo padre raccontava l’America del west ma nessuno non ci era mai stato. A cosa si ispirava?
Lui andava tantissimo al cinema e leggeva molta letteratura popolare americana, sapeva a memoria Jack London e amava molto Zane Grey. Gli piaceva ritenersi come Salgari, che descriveva i posti senza esserci mai stato. Ma alla fine in America ce l’ho portato io…
Ci racconti…
Era il 1988. Io, lui, che aveva già 80 anni, e mio fratello, facemmo un percorso molto texiano, dall'Arizona al New Mexico. Lui faceva finta di niente, di non sorprendersi di nulla, ma noi capivamo che era molto felice di stare lì. E chiaramente non mancarono bistecche alte due, tre e quattro dita con patatine, che facevano parte regolarmente della sua dieta.
Per i sessant’anni è uscito un albo tutto a colori, come nella miglior tradizione delle ricorrenze in casa Bonelli, dove torna in un flashback Lilyth, la moglie indiana di Tex, forse fatta morire troppo presto. Come sarebbero state le avventure di un Tex sposato?
Quando andavamo al cinema a vedere i western, a mio padre piacevano le eroine dei film d'avventura, non gli davano fastidio. Ma il pubblico quando spuntava una donna che diceva al protagonista di non andare allo scontro fischiava, vedeva malvolentieri questa presenza femminile. Bonelli era un sostenitore del filone avventuroso e in fondo anche un po' violento. Finché gli ha fatto comodo che Tex avesse una moglie, l’ha tenuta. Appena ha capito che poteva dargli fastidio, l’ha eliminata.
Invece è “sopravissuto” il figlio, Kit Willer…
Allora andavano forte gli albi con protagonisti bambini, e lui, che aveva visto la difficoltà iniziale di Tex perché lo rivolgeva ai grandi, aveva aggiunto un personaggio giovane per conquistare un’altra fetta di lettori. Pensi che avevamo previsto una serie in cui si vedeva solo Kit Willer, ma poi abbiamo cambiato idea. E’ un personaggio che, mi rendo conto, ha pochi tratti caratteristici, ma mio padre lo ha tenuto vita perché gli ricordava una sua passione giovanile…
Ossia?
Con Tex, Kit Willer, Kit Carson e Tiger Jack lui ha ricreato i quattro moschettieri. Amava tantissimo Dumas, l'idea di avere quattro personaggi lo riportava allo scrittore francese.
In allegato al numero del sessantesimo anche un romanzo scritto da Gian Luigi Bonelli nel 1951, “Il massacro di Goldena”, una verà rarità che mostra un lato poco noto di suo padre…
Lui era un appassionato di letture popolari, ed era inevitabile che avesse la tentazione di diventare il nuovo Salgari. I suoi romanzi sono cose scritte negli anni '30, e mostrano tutti i segni del tempo. C'è stato un momento in cui si era appassionato degli americani che scrivevano polizieschi tosti, duri, tipo Mickey Spillane. Aveva preso una cotta per un certo tipo di letteratura sia gialla che western alla Louis L'Amour, gli era venuta voglia di scrivere queste cose, voglia che poi gli è passata alla svelta e non gli è più tornata. Mio padre era un entusiasta, e passando ai fumetti trovò un modo di raccontare talmente nuovo che risultò più vicino alle sue corde. Era affascinato dal cinema, quindi dal movimento, e tutto quello che era esprimibilein questa maniera gli dava più soddisfazione. Aveva capito insomma che per lui era meglio raccontare le storie con le figure più che con le sole parole. E “Il massacro di Goldena”, nato come romanzo, diventò anch’esso anni dopo un’avventura a fumetti disegnata da Ticci.
Domandina finale tanto scontata quanto necessaria: nell’attesa di altre ricorrenze, quali novità ci riserva il futuro di Tex?
Io sono un sostenitore della tradizione, ogni tanto cambiamo sceneggiatori o disegnatori e questo ogni tanto ci preoccupa perché il pubblico vorrebbe che noi non cambiassimo mai. Io ho il problema opposto rispetto ad altri editori: invece che inventare cose nuove per Tex devo salvaguardare gli schemi abituali che i lettori apprezzano. A noi piace l'idea che sia un portabandiera del modo di sceneggiare e di proporre delle storie che oggi non vanno più.
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